La Torre Febbronia

La Torre Febbronia

La torre

Alla prima badessa, Febronia, si deve l’edificazione nel 1152 dell’omonima Torre. Così recita l’iscrizione incisa sulla lunetta dell’architrave della monofora del primo livello: “+ Anno ab Incarnatione Domini – Anno Millesimo Centesimo Quinquagesimo Secondo – Indictione XV (sic) – in tempore Domina Febronia Abbatissa fecit opera ista” (“Nell’anno 1152 dalla nascita di Cristo […], nel tempo della badessa Febronia, fu realizzata quest’opera”)

La Torre a pianta quadrangolare, che si erge all’interno della cittadella monastica fortificata, misura alla base m. 8,25 x m. 8,25 ed è costituita al primo livello da un ambiente, coperto da una volta a crociera in mattoni, delle dimensioni di m.3,50 x m. 3,50, al quale si accede tramite una porta sita sul lato nord della torre prospiciente la cinta muraria della cittadella monastica. Al secondo livello la torre misura m. 7,25 x m. 7,25; è delimitata da una cornice marcapiano aggettante ed è costituita da un ambiente delle dimensioni di m. 3,80 x m. 3,80; qui si accedeva dal monastero femminile mediante o un ponte levatoio o molto più verosimilmente tramite una scala a pioli, atta a rendere il luogo inaccessibile in caso di pericolo.

Sul paramento esterno del secondo livello del lato sud, è ancora visibile una scultura raffigurante un toro con la lingua fuori dalla bocca e rivolta all’insù. Sui due cantonali del lato nord, sul coronamento aggettante del primo livello, poggiano due elementi lapidei rimpiegati, che ricalcano gli estremi del timpano, di epoca romana. Due feritoie sulle pareti ovest ed est danno luce all’ambiente del secondo livello. La torre, alta quasi m. 16, ha muri di circa m. 2 di spessore, che poggiano su di un basamento di grossi blocchi di pietra squadrata e modanata, ed è costruita al primo livello con materiale romano di spoglio proveniente dal monumento funerario di Marco Paccio Marcello, come si legge su uno dei blocchi di reimpiego, un legionario originario di Compsa: M(arco) PACCIO C(ai) F(ili) GA(leria tribu)

MARCELLO PRIMI
PILARI LEG. IIII
SCYTHICAE
“A Marco Paccio Marcello, figlio di Caio, appartenente alla tribù Galeria, primo tra i pilari della
quarta legione scitica”.

Altro particolare della Torre

In seguito all’attenta lettura dell’iscrizione e delle decorazioni poste sui blocchi lapidei (circa 110)
del monumento funerario, riutilizzati per la costruzione della Torre, è stato possibile ricostruire la vita e la carriera di questo soldato romano che, per i suoi atti di valore, raggiunse il massimo grado consentitogli dalla sua modesta estrazione sociale, centurione principale della prima coorte, “primipilaris” della IV legione scitica. Il gentilizio Paccius è ampiamente attestato nell’Italia centro-meridionale, pertanto è possibile supporre che questo personaggio avesse una provenienza italica. Poiché la tribus alla quale apparteneva era quella del municipium di Compsa, si presume che egli fosse originario di quel territorio. La forma delle lettere non ci fornisce particolari indicazioni per la datazione, ma prendendo in considerazione la lettera Y, sappiamo che la sua forma si ritrova dal tardo periodo augusteo fino a quello dei Flavi.L’insigne personaggio con tutta probabilità esercitò anche una carriera civica, ricoprendo varie magistrature municipali, come evidenziato dalla presenza della “sella curulis”, ai cui lati sono scolpite una testa maschile raffigurante l’honos e una femminile raffigurante la virtus, in< riferimento agli onori ricevuti dal centurione in merito alle sue virtù.

La sella curulis, simbolo originariamente solo dell’alta magistratura, nell’età augustea era anche
emblema della magistratura municipale; dunque è emblema della carica rivestita da Marco Paccio. Un girale di acanto, con la funzione di albero genealogico (stemmata) indica che egli avesse sei figli e che il tumulo fosse una tomba di famiglia. La “sella curulis” è sovrastata da una grande spirale, simbolo indicante la carica di “augure”, e dal tipico berretto del sacerdote romano, il “flamine”. Il riutilizzo di materiale di spoglio proveniente da edifici antichi dà la dimensione del rapporto che gli uomini del medioevo avevano con il mondo romano. Era un modo per ricollegarsi idealmente al passato mitico di Roma e a quanto essa rappresentava: cultura, potere, continuità.

Ritornando alla natura della nostra Torre, è possibile ritenere che essa avesse la funzione oltre che di rifugio e quindi di difesa delle monache in caso di attacchi esterni, anche di fortino, una sorta di caveau dove custodire le ingenti ricchezze di cui era dotato il monastero. Infatti l’abbazia godette sin dalla sua fondazione non solo dell’appoggio e dei benefici dei sovrani normanni Ruggero II e Guglielmo II e dell’imperatore svevo Federico II, ma anche dei feudatari locali quali Elia di Gesualdo, Ruggero di Medania, Riccardo e Raone di Balvano, che furono larghi di donazioni Deo et in monasterio Sancti Guilielmi, non solo per la salvezza delle loro anime ma anche e principalmente per rafforzare il loro potere apparendo munifici benefattori.