IL MONASTERO

Il Monastero

Il Monastero

Il Monastero, voluto e fondato da Gugliemo da Vercelli, si afferma come centro di spiritualità, ma anche come potenza economica almeno fino al XVII secolo. Le fonti di reddito prevalente sono le doti delle monache, così come le rendite provenienti dal vasto territorio donato alla fondazione da Ruggiero Sanseverino, dalle elemosine dei fedeli e inoltre dai numerosi immobili, feudi, benefici, diritti padronali e chiese dipendenti, sempre crescenti, anche per gli illuminati interventi delle Badesse.

Il primo significativo documento di tutto ciò risiede proprio nell’atto di donazione, che sancisce la fondazione del Monastero“…questi (Ruggiero)…offre tutta la terra che egli possiede in quel luogo, di cui determina in questo modo i confini: da una parte si scende per il rivo detto Morto e si va fino all’Ofanto; per la seconda parte si commina lungo lo stesso Ofanto e si sale per i confini tra i suoi beni e Nusco; nella terza e quarta parte vi è la via pubblica che va a Nusco e che congiunge col rivo del primo confine”. Fondamentale per la ricostruzione storica è soprattutto la disposizione finale, nella quale Ruggiero pone la condizione sulle persone che dovevano essere ospitate nella fondazione religiosa di Guglielmo, “..un’istituzione per poveri,vedove e vergini”. Altro capitolo di entrate fondamentale sono i proventi derivanti dal sistema a “rete” di cui l’Abbazia irpina costituisce, molto presumibilmente, il vertice. La struttura che Guglielmo dà alla sua Congregazione è completamente diversa dallo schema tradizionale benedettino, che all’epoca costituiva il modello più diffuso di organizzazione dei monasteri. Il monaco vercellese sostituisce all’abbazia e al relativo monastero autonomo e indipendente una congregazione di case religiose legate da stretti vincoli giuridici ed economici, facenti capo al superiore o alla superiora della casa madre: in questo modo si viene a formare una rete composta da pochi monasteri principali da cui si irradiavano tante dipendenze minori. Le Badesse nelle loro visite periodiche riscuotono i tributi fondiari dai loro beni allodiali, appunto quelle proprietà libere concesse a censo, e dalle rendite provenienti dalle singole dipendenze.

Nella società del Medioevo il monastero aveva molteplici ruoli, esso svolgeva funzione sociale di pacificazione e di contenimento dei contrasti, sostenuto dal potere politico, assumeva il compito di ricovero e assistenza, grazie alla distribuzione lungo le vie di comunicazione, e, altrettanto importante, rivestiva funzione economica, sia in rapporto al territorio che verso la popolazione. Infatti da un lato, il monastero provvedeva a bonificare e rendere abitabili territori paludosi o ricoperti di foreste dall’altro, attorno ad esso, si sviluppavano attività legate alla gestione e al sostentamento della comunità che vi risiedeva. Così al Goleto, dato il numero elevato di religiose e religiosi, le occupazioni dovevano essere varie e molteplici come attesta anche la struttura architettonica, i cui resti mostrano diversi locali con tutta probabilità adibiti ai servizi interni. Si notano inoltre diverse costruzioni esterne al monastero, abitazioni per il personale laico che provvedeva all’agricoltura, alla raccolta del legname, alla pastorizia e all’allevamento del bestiame. Tra il 1230 e il 1255 queste case vengono racchiuse dalla cinta muraria, voluta dalla badessa Marina II, e diventano parte integrante del Monastero stesso, costituendo il Casale di San Guglielmo. Da tutti questi dati si può senz’altro affermare che con Marina II, il Goleto diventa una potenza economica che va difesa con interventi continui dagli svariati tentativi di usurpazione di vescovi o di signori locali


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